In Italia, di solito, si parla sempre di un certo ritardo nel recepire novità tecnologiche che hanno un impatto economico nella vita dei cittadini ed a regolarle con delle leggi. A quanto pare, sul fronte criptovalute, questa lentezza normativa sarà presto colmata.
La bozza della legge di Bilancio infatti contiene 5 articoli sulle criptovalute: dei testi che aprono le porte ad una necessaria regolamentazione (probabilmente spinta anche da recenti eventi negativi, come il fallimento di FTX) ma che non mancheranno di far discutere e di causare più confusione di quanto ne risolvano.
Le criptovalute sono investimenti?
Una recente sentenza della Cassazione (sentenza n. 44378 del 22 novembre 2022) aveva determinato che le criptovalute sono da considerarsi investimenti finanziari e che sono soggetti quindi alle stesse regole e che richiedono figure definite ed autorizzate all’intermediazione finanziaria.
La legge di Bilancio segue questa linea e nello specifico individua nuove figure di prestatori di servizi per le cripto-attività e di custodia dei portafogli digitali.
Ovviamente, da qui nascono obblighi di comunicazione e ovviamente la tassazione.
Questa della tassazione è un punto dolente: le criptovalute diventano soggette alla tassazione sul capital gain che, per gli amanti delle cripto, è particolarmente salata. Infatti bastano 2000€ di proventi da attività di investimento in cripto per far scattare il pagamento del 26%. Una soglia molto bassa se si considera che per investimenti tradizionali, entro 51.645 euro non si paga la tassa sulle plusvalenze.
A questa si aggiunge un’imposta di bollo del 2 per mille, che è un prelievo ulteriore che grava sulle criptovalute.
A questo quadro normativo che potrebbe scoraggiare molti si aggiunge il classico pasticcio all’italiana.
Come determinare il valore?
Manca infatti nella legge un criterio chiaro per determinare la plusvalenza, se non la differenza tra il costo o valore di acquisto e quello di vendita dell’asset digitale. Questo deve essere documentato con elementi certi e precisi a cura del contribuente; in mancanza il costo è pari a zero.
In quest’ultima parte c’è molta confusione, una confusione che rischia di vedere una marea di contenziosi e di ricorsi con l’Agenzia delle Entrate: il contribuente ha l’onere della prova praticamente, perchè la legge non individua enti o istituzioni che possano attestare il valore delle criptovalute al momento.
Questo significa che, in mancanza di elementi certi e precisi, il contribuente potrebbe essere tentato di dichiarare 0.
Prendiamo un esempio: mettiamo caso di aver acquistato 10.000 € di Bitcoin ed averli venduti in un periodo di rialzo a 15.000€. Cosa potrebbe essere un elemento certo e preciso? Uno screenshot sull’exchange di criptovalute?
E se l’exchange come fanno molti, non conserva dati monetari sulle transazioni ma solo le quantità in criptovaluta come faccio? Fa fede uno screenshot di un grafico storico qualsiasi?